Il capitolo del libro che porta questo titolo affronta un tema cruciale dell’esperienza politica negli anni della segreteria di Enrico Berlinguer: quello del rapporto tra l’organizzazione partitica, le sue caratteristiche e il suo bisogno di cambiamento, e l’organizzazione della società civile, che aveva ed ha ancora nelle Case del Popolo (soprattutto in Toscana ma non solo) uno dei suoi punti di riferimento, luogo di educazione e di formazione politica e culturale. Ne abbiamo parlato con Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e con Francesca Chiavacci, presidente dell’Arci, che proprio nel 2017 festeggia i sessant’anni della fondazione.
Il capitolo rende anche omaggio a quella comunità politica che si stringeva con grande fiducia e calore intorno al segretario del PCI. Rende omaggio, ad esempio, al compagno Giuseppe Ciari, che per decenni ha custodito, nel ripostiglio di casa, le cassette su cui aveva registrato alcuni grandi comizi di Berlinguer, quando insieme agli altri militanti della sua sezione seguiva il segretario nelle manifestazioni o nelle giornate conclusive delle Festa nazionali de L’Unità.
Sono le registrazioni che abbiamo cominciato a caricare su questo sito e che, nella loro spontaneità, restituiscono il clima vero di quegli incontri di popolo, il rituale degli inni e degli interventi introduttivi, il tono lineare, pulito, argomentato dei lunghi discorsi del leader (discorsi scritti, ovviamente, con faticoso lavoro), le reazioni della folla, attentissima a ogni passaggio, ad ogni riferimento politico.
Francesca Chiavacci traccia infine le linee di una breve storia evolutiva della sua associazione e conclude proponendo un bel parallelo, tra la figura di Enrico Berlinguer e quella di Tom Benetollo, indimenticato presidente dell’Arci degli anni Ottanta.
“Certamente erano due grandi visionari – dice Chiavacci – persone che sapevano vedere anche nei momenti più bui il varco nella rete da cui far sgorgare nuovi movimenti, nuove frontiere per la sinistra e nello stesso tempo erano capaci di indicare la strada al popolo che li seguiva. Due leadership carismatiche senza essere finte, televisive, artefatte. Due persone che sapevano leggere in profondità nelle pieghe della società e capivano che, per quanto grande e amata, la loro organizzazione – Arci o PCI – era parte di un tutto più grande, che le possibilità della politica non finivano ai confini del già noto. Ma anche leader che sentivano la responsabilità della guida e di portarsi dietro, anche nei momenti in cui era necessario rinnovare radicalmente il proprio patrimonio ideale e culturale, tutto insieme un popolo fatto di tante diversità, complessità e contraddizioni. E poi il carisma dei timidi che li accomunava: senza essere dei roboanti imbonitori, come purtroppo oggi si riducono a essere le leadership mediatiche, sapevano affascinare il popolo con la profondità delle loro analisi. Due politici puri, nel senso migliore del termine e ovviamente anche con i problemi che questo fatto si porta dietro, come la necessità di supporti solidi per quanto riguarda l’organizzazione minuta e quotidiana di soggetti così grandi e articolati come l’Arci e il PCI”.