Altiero Spinelli: “Berlinguer, europeista sincero e impegnato”

L’11 giugno 1984, proprio nei giorni dell’agonia di Enrico Berlinguer,  Altiero Spinelli, che si era candidato alle elezioni europee come indipendente nelle liste del PCI, rilasciò a Romano Ledda, giornalista dell’Unità, una importante  intervista.

Con Altiero Spinelli parlando di Berlinguer e di Europa

Il bilancio della battaglia europeista con il padre del progetto di unione politica

L’Unità, 11 giugno 1984

ROMA — Incontro Altiero Spinelli in questi giorni terribili. Avevamo da tempo fissato di fare una intervista che fosse come un bilancio della sua lunga battaglia per l’Europa, ripercorrendone Ie tappe, i momenti più significativi, e ora il primo punto di approdo con il «successo» del progetto Spinelli» per l’unione politica europea. Nel frattempo, improvvisa la sconvolgente notizia di Berlinguer. Ne parliamo attoniti, sgomenti Spinelli con parole lente, rintraccia episodi, evoca ricordi, rilette ad alta voce sulla voglia di vivere e l’impegno quotidiano della lotta, ritrova nella laicità del leader comunista un segno decisivo dell’uomo e del politico che sa «sempre cosa mi è accaduto, cosa ho fatto di me stesso, cosa ho cercato di costruire». E «a quale prezzo”.

Aggiunge: «Anche se le speranze sembrano svanire, l’augurio è che Berlinguer sia restituito a noi e all’Europa. La sua iniziativa ed elaborazione politica vengono da lontano, ma è stato lui che ha portato a compimento, con rigorosa conseguenza, la saldatura tra democrazia e socialismo e una politica comunista tesa a conquistare un’Europa fatta dagli europei. Guarda, voglio dirti solo una cosa che potrebbe sembrare banale ma non lo è. In questi anni al Parlamento europeo c’erano molti segretari di partito. Ma l’unico che ho visto impegnarsi, intervenire nei momenti decisivi— ed essere ascoltato con attenzione — è stato Berlinguer. Ha creduto davvero all’Europa e nella fatica che ha provocato il male si deve mettere nel conto anche questa battaglia».

Facciamo fatica a separarci dal pensiero e dai sentimenti che ci sovrastano, e penso che non riusciamo a farlo. Ma tentiamo, anche perchè la scadenza e la battaglia elettorali sono lì, continuano, debbono continuare. Azzardo allora la prima domanda chiedendo a Spinelli cosa sente nel momento in cui il suo progetto europeo viene solennemente fatto proprio da Mitterrand, ha l’adesione dei partiti e Parlamenti, e tutti vi fanno riferimento. Gli chiedo: ti senti un vincitore reduce da una lunga battaglia?

«Ti rispondo francamente. Se parli di una mia paternità del progetto di unione politica dell’Europa, lo dico che ho avuto solo una funzione maieutica, ho contribuito a far emergere una volontà politica, più diffusa di quanto si creda. Se mi chiedi se ho vinto, dico che la battaglia è appena cominciata. No, non credo di essere già arrivato ad una vittoria. Aprire un capitolo nuovo non vuol dire averlo scritto. L’appuntamento più importante deve ancora venire».

Quale?

Quando si riunirà la conferenza proposta da Mitterrand. Chi ci sarà? Ma soprattutto: la redazione definitiva del progetto di unione politica dell’Europa verrà affidato alle diplomazie, ai ministri degli Esteri oppure al Parlamento con poteri reali di decisione? Nel primo caso avremo soltanto, e nel migliore dei casi, una nuova forma di cooperazione intergovernativa. E, diciamolo, pure la liquidazione del progetto. Nel secondo caso ci sono serie possibilità di fare dei passi avanti».

Si è discusso e si discuterà molto, credo, del famoso direttorio franco-tedesco. Tu cosa pensi?

«L’idea del direttorio non e una fantasia, viene da una storia che porta i nomi di De Gaulle, di Giscard d’Estaing. Anche di Mitterrand? Francamente ne dubito, per come lo conosco, ho discusso con lui. L’ho sentito parlare al Parlamento di Strasburgo. Tuttavia è giusto stare in guardia. Ma come? Non capisco la polemica di Craxi. Avrei preferito che prima si dicesse che il governo italiano sosterrà fino in fondo il progetto di unione politica, e poi semmai si manifestasse allarme. Invece la polemica resta ambigua e io ci vedo una vecchia tentazione italiana: i direttori! vanno bene se ci siamo anche noi. Se c’è un riconoscimento tutto formale che l’Italia ha un rango. No. non sono d’accordo. Non mi va proprio di correre dietro le ombre, dimenticando che li pericolo di un direttorio può essere sventato solo se i governi — tutti i governi— si impegneranno a fondo nella costruzione di una Europa unita».

In un tuo libro de! 1978 dal titolo – PCI, che fare?- tu ribadisci una Idea dello sviluppo in Europa che mi pare collimi con quella di Berlinguer: battere il sottosviluppo nel Terzo mondo non è un favore ai “continenti della fame” ma una condizione indispensabile per Io sviluppo del nostro continente.

Si. E’ uno dei punti di maggiore contatto che ho col PCI e personalmente con Berlinguer. Di lui non dimenticherò mai il famoso discorso sulla “austerità” che fu male capito. Non illudiamoci. Se noi pensiamo di rimettere in moto l’economia europea puntando solo sulle nostre locomotive, non solo l’abisso col resto del mondo diventerà catastrofico, non solo un isolotto di paesi “ricchi” sarà tormentato da burrasche terribili, ma dubito anche che si possa pensare a uno sviluppo armonioso e duraturo in Europa. In quel libretto che tu ricordi io sostengo una idea molto semplice. Se vogliamo salvare l’economia europea dobbiamo varare un grande Piano Marshall — in e con una cornice politica diversa, è chiaro— verso il Sud del mondo. È una idea semplice ma non facile perché urta nelle resistenze delle forze conservatrici e privilegiate dell’Occidente e anche in quelle che si annidano nel Terzo mondo. Ma questa è la politica da fare».

Il PCI. E appena uscito il tuo primo volume di memorie dove racconti della tua milizia e del tuo distacco. Come e perché lo hai ritrovato?

Dovrei parlarti di Berlinguer, di Amendola. Fu quest’ultimo a proporre nel 1976 che io fossi candidato nelle liste del PCI e Berlinguer ad accettare subito. Avevo allora una notte per decidere e te lo assicuro fu lunga. Ero solo, la compagna della mia vita Ursula non era con me, e il suo consiglio per me è stato sempre prezioso. All’alba decisi di sì, che potevo riprendere la collaborazione col PCI dopo tanti decenni di separazione. Naturalmente non accadde tutto quella notte. Diciamo che quelle ore furono il punto terminale di una lunga riflessione»

Su quali punti?

«Sono rimasto abbastanza gramsciano da capire che la scelta democratica del PCI era ormai definitiva, strutturale. Da commissario della CEE avevo visto il PCI crescere come una forza europeista convinta. Eppoi come cittadino e come democratico pensavo allora e penso ancora che senza il PCI non si può governare l’Italia. Ci sono anche altre ragioni, ma queste mi paiono le essenziali».

Sono passati otto anni da quel 1976. Ti senti soddisfatto di questa nuova collaborazione?

«Pienamente. C’è stato un patto limpido di reciproca autonomia che il partito ha sempre rispettato. E questo lo si deve anche al modo con cui Berlinguer ha concepito i rapporti del partito con noi indipendenti. Sento inoltre che senza la forza del PCI non avrei potuto condurre lamia battaglia europeista e conseguire i primi risultati di cui prima si parlava. Allora nel 1976 furono in tanti, in troppi, a dirmi: resterai prigioniero, non fidarti. No. La risposta è nei fatti, che dicono come il PCI rappresenti una grande occasione politica per l’Europa».

Romano Ledda

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