Nei giorni scorsi nella sua pagina Facebook “em.ma in corsivo” Emanuele Macaluso ha evocato il tema del “governo mondiale”, ricordando l’auspicio di Enrico Berlinguer. Lo ha fatto commentando la vicenda di Silvia Romano, la volontaria della cooperazione internazionale rapita in Kenya. Ha scritto Macaluso: “La scelta di questi giovani, di medici, di religiosi…ha un significato politicamente forte e critico nei confronti di chi ha governato i Paesi ricchi e che sono diventati tali quasi sempre sfruttando i Paesi dove oggi questi volontari operano”. Cosa dire poi, prosegue il corsivo “di quelle persone che vediamo in tv, dopo aver abbandonato le loro misere case in America Latina, marciare per centinaia di chilometri nella speranza di un asilo e, forse, di un lavoro negli Stati Uniti? Trovano, per adesso, il filo spinato e l’esercito schierato al confine su ordine di Trump. Quale sarà la loro sorte? Quel che oggi ci rimandano queste immagini e quanto ci dice la volontaria milanese è semplicemente un monito: sarebbe necessario un “governo mondiale”, auspicato da Enrico Berlinguer tanti anni fa”.
Dunque di nuovo Berlinguer. Che accennò al tema, ad esempio, all’interno del rapporto al XIV Congresso del PCI, il 18 marzo del 1975: “Se vogliamo gettare uno sguardo più lontano, si può pensare che lo sviluppo della coesistenza pacifica, e di un sistema di cooperazione e integrazione così vasto da superare progressivamente la logica dell’imperialismo e del capitalismo e da comprendere i più vari aspetti dello sviluppo economico e civile dell’intera umanità, potrebbe anche rendere realistica l’ipotesi di un ‘governo mondiale’ che sia espressione del consenso e del libero concorso di tutti i paesi. Questa ipotesi potrebbe uscire così da quel regno di pura utopia nel quale si collocaronoi progetti e i sogni di vari pensatori nel corso degli ultimi secoli”. Nel pensiero di Berlinguer il governo mondiale si collocava al termine di una lunga catena di altri concetti e tematiche politiche: l’interdipendenza dei problemi dell’umanità, la battaglia per un nuovo ordine economico internazonale, contro ogni forma di imperialismo e neocolonialismo, per la pace come fattore di sviluppo.
Ancora lontano il processo di globalizzazione così come si è sviluppato, Berlinguer parlava invece di “globalità”: “Globalità significa dunque, ovviamente, non limitarsi ai problemi pur rilevanti del petrolio, ma aprire la trattativa anche sulle altre fonti energetiche, su tutte le materie prime, sui prodotti industriali e agricoli, sui servizi, sulla tecnologia e sulla ricerca. E tutto ciò noi vediamo non solo in termini di sviluppo degli scambi e di giusta definizione dei rapporti finanziari e monetari che vi sono connessi, ma anche e soprattutto in termini di vera e propria cooperazione, verso forme sempre più estese e organiche di divisione internazionale del lavoro reciprocamente vantaggiosa e di integrazione”.
Le cose sono cambiate, dice Macaluso, e noi con lui. Ma quello che ancora sorprende è che un politico sicuramente realista e immerso nel suo tempo non rinunciasse a pensare, e a proporre, uno scenario utopistico sullo sfondo di una battaglia concreta di cui esponeva i concretissimi obiettivi. Oggi un simile atteggiamento verrebbe deriso. Di fronte ai disastri di oggi, guerre, disuguaglianze dilaganti, sconvolgimenti climatici – conclude Macaluso – non ci sono forze politiche o governi “che intendano contrastare la politica che li provoca e si registra l’impotenza di chi certo capisce ma non agisce”.
Susanna Cressati