Dall’Ansa del 17 maggio 2017: “Più disuguaglianze, classi sociali ‘esplodono’ – “La diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi”. E’ questa l’analisi contenuta nel Rapporto Istat 2017. Per l’Istat “la crescente complessità del mondo del lavoro attuale ha fatto aumentare le diversità non solo tra le professioni ma anche all’interno degli stessi ruoli professionali, acuendo le diseguaglianze tra classi sociali e all’interno di esse”. C’è di più. Già un anno fa l’Istat aveva sottolineato l’andamento della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi di mercato all’interno dei paesi ricchi e già un anno fa risultava che in Italia, tra il 1990 e il 2010, la disuguaglianza era aumentata più che in ogni altro Stato dell’Ocse. Siamo corsi ai ripari? No.
O comunque meno di quanto non sia stato fatto negli altri paesi. Come sottolinea Luca Aterini in un interessante articolo su Greenreport, lo Stato italiano non è riuscito a frenare granché questa tendenza: “In tutti i Paesi osservati eccetto al Germania la crisi ha prodotto un aumento nei livelli di diseguaglianza generatisi sul mercato, un aumento che alcuni Stati sono riusciti a frenare grazie all’intensità del loro intervento redistributivo, e altri no. Tra questi ultimi, in coda spicca proprio l’Italia. «In Italia – documenta ancora l’Istat – la capacità redistributiva dell’intervento pubblico è tra quelle cresciute meno, rimanendo così tra le più basse nei paesi considerati». Nel dettaglio, al 2015 l’intensità dell’intervento redistributivo nello Stato italiano era pari al 16,2%; solo la Spagna mostra un livello altrettanto basso, con una differenza sostanziale. A partire dal 2008 «le difficili condizioni dell’economia e del mercato del lavoro hanno influito, in modo particolare, sui livelli di diseguaglianza generatisi sul mercato», ma «l’intensificarsi dell’azione redistributiva ha permesso a molti paesi di contrastare questa dinamica (in particolare, in Spagna e Grecia) o addirittura di invertirla». In altre parole, dal 2008 al 2015 l’intensità della redistribuzione in Spagna è cresciuta del 5,2% (e nella flagellata Grecia del 10,8%) mentre in Italia di un misero 0,7%.
A livello internazionale , secondo il rapporto Oxfam “Un’economia per il 99%” redatto a gennaio, otto super miliardari detengono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) di metà della popolazione più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. Secondo la Ong la forbice tra ricchi e poveri “si sta estremizzando oltre ogni ragionevole giustificazione”, grazie al ricorso a “pratiche di elusione fiscale, massimizzando i profitti anche a costo di comprimere verso il basso i salari e usando il loro potere per influenzare la politica».
Se si potesse comporre una “tag cloud”, una rappresentazione visiva delle parole-chiave usate da Enrico Berlinguer nei suoi discorsi e nei suoi scritti, non dubito che la parola “diseguaglianza” risulterebbe tra le più evidenti. Berlinguer non ha tralasciato occasione per insistere su questo tema, per denunciare le disuguaglianze tra popoli ricchi e popoli poveri che lo spingevano, sottolineando l’interdipendenza dei problemi dell’umanità, ad auspicare un nuovo ordine economico internazionale. Da leader politico votato al cambiamento delle cose esistenti, non ha mancato di chiamare alle loro responsabilità i difensori dell’ordine economico e sociale esistente (“There is no alternative”, proclamava Margaret Thatcher) e di denunciare gli effetti di un capitalismo che produce una società “sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze” (Roma Teatro Eliseo, 1977). Ne sappiamo qualcosa, anche noi oggi.
Ne fece una battaglia così intensa e rigorosa che perfino un vescovo, Luigi Bettazzi di Ivrea, gliene dovette dare atto nella famosa lettera del 1976, in cui riconosceva che all’impegno dei comunisti per la giustizia e l’uguaglianza, all’aver tenuta alta questa bandiera, era dovuta la popolarità e il successo del partito guidato da Berlinguer: “Tanti, soprattutto operai, immigrati, diseredati, guardano a voi come a una speranza di rinnovamento, in una società. in cui essi non trovano sicurezze per il loro lavoro, per i loro figli, per una loro sia pur minima infiuenza nelle decisioni che coinvolgono tutti”.
“La sinistra – disse Berlinguer a Luigi Pintor nell’intervista pubblicata dal Manifesto il 22 giugno 1983 – ha fatto bene a disfarsi dei vecchi miti, a riaffermare la sua piena laicità, ma non può vivere e non può vincere senza valori ideali, che sono poi quelli di cui il movimento è portatore da sempre – pace, giustizia, eguaglianza, lavoro sapere, solidarietà – ma che hanno bisogno di essere diversamente pensati e tradotti, perchè si applicano a una realtà diversa. Devono ridiventare anch’essi senso comune”. Parole che mantengono tutto il loro straordinario valore.
Susanna Cressati